La Grande Guerra servi’ indubbiamente anche da catalizzatore per produrre una generosa quantita’ di scrittori, diaristi, poeti e musicisti in tutta Europa e persino oltreoceano. Un avvenimento come la guerra globale di un secolo fa, tanto spaventosa e sanguinosa da essere reputata “il conflitto che avrebbe messo fine a tutti i conflitti” non poteva essere di certo ignorata da tutti uomini di penna che l’hanno vissuto direttamente o indirettamente: perciò molti sono quelli che hanno scritto in materia cogliendone i vari aspetti secondo il proprio modo di sentire e la propria indole. Mentre le nostre antologie scolastiche spesso si limitano a proporre i lavori lirici o la tipica prosa di quel periodo (vedi gli Ungaretti, i d’Annunzio, i Monelli, gli Jahier, ecc.), non bisogna assolutamente dimenticare le testimonianze piu’ umili, ma per questo indubbiamente piu’ spontanee e dirette, di tutti i “cantori” della Prima Guerra Mondiale, di tutti quei bardi del “blues delle trincee”.
Certamente le canzoni di guerra sono uno degli elementi fondamentali per la cristallizzazione della memoria della Grande Guerra. Sono al centro di una specie di reversibilità di qualità civili e militari che, durante il conflitto, vengono richiamate a guisa di anatema e ragione ultima per la quale si soffre, si combatte e si sogna un rientro nella società civile della pace. L’ideale di quest’ultima aiuta il combattente a sopportare fatiche, privazioni e dolori, mentre le virtù e le doti militari, legate al senso del dovere, coadiuvano analogamente gli sforzi per l’agognata pace.
La musica, semplice ma diretta al cuore, unita a parole profonde e solo apparentemente “facili” da rimare in poche strofe, si offrono come un vero e proprio arsenale identitario due importanti miti della Grande Guerra: quello degli Alpini in Italia (particolarmente prolifici nel “musicare” le loro leggendarie gesta) e quello dei “Tommies”, i soldati inglesi, che ci hanno lasciato come testamento anche poche, semplici e spesso scanzonate melodie. Le canzoni di guerra britanniche hanno avuto una genesi di tipo piu’ tradizionale di quelle nate direttamente durante il conflitto, come quelle ad esempio del Corpo degli Alpini italiano. Mentre queste ultime furono perlopiu’ intonazioni spontanee della sofferenza e del dolore provato in guerra (un po’ come avvenne nella musica blues e spiritual delle popolazioni di colore americane), fu la propaganda a scrivere e musicare un genere musicale idealmente destinato a sollevare lo spirito e rinfrancare i “Tommies” costretti nel fango delle trincee.
Canzoni come “Pack up your troubles”, “Take me back to dear old Blighty” e “It’s a long way to tipperary” si imposero, gia’ all’inizio del conflitto, come inni di propaganda , tanto per i soldati in partenza per il fronte, che per la popolazione rimasta a casa – un po’ come “La leggenda del Piave”, in questo genere musicale si poteva ritrovare e promuovere subito l’unita’ sociale di patria, sposando per l’immaginario collettivo i sacrifici degli eroi al fronte, con gli ideali di pace, vittoria e sbarazzina supremazia con cui si doveva anestetizzare la popolazione intera.
E’ bene ricordare che all’inizio del secolo scorso, la propaganda militare e politica era forse l’unico strumento di comunicazione che, per quanto altamente viziato e parziale, poteva raggiungere le masse, altrimenti totalmente ignare di cio’ che accadeva al fronte. Dopo il 1915 tuttavia, il terrificante numero di caduti, la perdita pressoche’ totale di tutto l’esercito professionale del secolo precedente, e la quantita’ di lutti che colpi’ anche ciascun piccolo paese in Inghilterra, costrinse autori e compositori ad interpretare in qualche modo anche questa “perdita dell’innocenza” ed il pensiero comune che la guerra non sarebbe poi finita’ cosi’ presto come si credeva.
Nascono percio’ inni alla Patria e alla famiglia lontana, che forse i piu’ fortunati riusciranno a rivedere, come “There’s a long long trail” e “Keep your home fires burning”. Non a caso, i soldati che marciano verso il fronte intonano solo questi ultimi "esorcismi musicali" contro la morte certa che li attende, dimentichi di ogni falsa promessa trasmessa all’inizio della guerra e scanzonatamente intonata a bordo di una tradotta. E' da notare comunque, che il tema della morte, della perdita e del sacrificio non appare quasi mai fino alla fine della guerra - gli inglesi, da sempre ostinatamente conservatori ed orgogliosi della loro privacy, preferiscono fino all'ultimo credere ad una risoluzione positiva di quattro anni di dolore e sacrificio, piuttosto che soccombere di fronte agli eventi e concedersi pubblicamente anche un solo grido di scoramento o disperazione.
"Dictionary of Tommie’s Songs and Slang, 1914-1918" e’ un capolavoro di ricerca e testimonianza, pubblicato nella sua prima edizione negli anni ’30, e oggi riproposto dal Daily Telegraph con una preziosa introduzione di Malcom Brown. Il volume raccoglie praticamente tutti gli inni e le canzoni dei soldati britannici, appartenenti alla British Expeditionary Force, al corpo degli ANZAC (Australian and New Zealand Army Corps) e a tutti i vari contigenti coloniali. Gli autori, veterani della Grande Guerra, compilarono infatti un’approfondita ricerca di testi, melodie e persino espressioni caratteristiche dello “slang” anglosassone della Prima Guerra Mondiale.
Pare addirittura che alla stesura definitiva del loro manoscritto abbia partecipato attivamente anche il colonnello T.E. Lawrence (Lawrence d’Arabia), apportando modifiche e commenti in base alla sue esperienza di guerra mediorientale.
Questo volume ha pertanto la duplice funzione di saggio omnicomprensivo sulle canzoni dell’epoca e di ottimo glossario bellico da consultare durante la lettura di qualsiasi pubblicazione in inglese sulla Grande Guerra. Se volete sentire qualche canzone originale dei Tommies britannici, potete consultare la sezione “Audioteca” di questo sito.
A.G. |