Possiamo iniziare col dire che l'asprezza e le sofferenze della guerra accelerarono quel processo di formazione del welfare state rimasto fermo alla riforma giolittiana del 1903 e che aveva chiuso il proprio ciclo nel 1912, con la nascita dell'INA.
Il perdurare del conflitto aveva portato a profondi cambiamenti nel tessuto sociale ed economico del nostro paese. La diffusione del lavoro salariato e l'ingresso delle donne in fabbrica, aveva fatto nascere l'esigenza di una più ampia tutela della comunità operaia. L'agricoltura, poi, aveva dimostrato tutta la sua debolezza se privata della manodopera, oramai in buona parte in divisa. L'assenza di un uomo in casa, soprattutto in città, dove non si godeva della solidarietà della famiglia patriarcale o del vicinato, pesava moltissimo sul bilancio familiare, dove le donne dovevano essere in grado di far quadrare i conti e badare alla stesso tempo alla prole. Nei casi più tragici, quando non giungevano più notizie dal fronte da parte del proprio amato e ormai si tiravano le più disperate conclusioni, ci si rivolgeva alle associazioni di volontariato o alla mensa organizzata dal Comune per poter sfamare la famiglia.
Si facevano così strada nuovi organismi privati e pubblici che costituiranno un altro aspetto del nostro sistema sociale. La politica nazionale, nel frattempo, muoveva i suoi primi passi alla ricerca di possibili soluzioni, meno improvvisate e più incisive, per far fronte alle esigenze della popolazione. Ancor prima che finisse la guerra, dietro i tavoli di politici e sindacalisti, si discuteva delle problematiche della disoccupazione del dopo guerra, dell'assistenza agli invalidi, alle vedove e agli orfani; così, altrettanto, per i più fortunati, si discuteva su come elargire la sospirata pensione. Le conclusioni di quelle trattative giunsero, tutto sommato, abbastanza rapidamente, spinte evidentemente dai fermenti sociali e dalle urgenze della guerra. Non mancarono, tuttavia, alcune occasioni importanti per discutere di progetti che, pur di per se interessanti, sono rimasti sulla carta.
L'attenzione della politica italiana verso forme di tutela sociale e del lavoro era iniziata, infatti, in buon ordine, con la nascita di una Commissione per discutere sull'allargamento della tutela dalla malattia e dall'infortunio. Il pacchetto prevedeva delle prestazioni sanitarie gratuite per tutti, l'assistenza ospedaliera e perfino l'assistenza domiciliare. La Commissione Rava, non molto più tardi, si preoccuperà, invece, di varare un sistema assicurativo a largo raggio, che coprisse i rischi sul lavoro per tutte le categorie lavorative: artigiani, liberi professionisti, dipendenti.
Per la prima volta, poi, si riconosceva uno status agli istituti di beneficenza. Più urgente e con meno risvolti teorici fu il varo della legge sull'assicurazione obbligatoria per i lavoratori agricoli. Si cercò di comprendere tutte le figure tipicamente riconosciute nel mondo contadino: braccianti, fattori, mezzadri, proprietari ecc. e con un'età compresa tra i 9 e i 75 anni. Il nuovo sistema assicurativo prevedeva un fondo di riserva che doveva rastrellare annualmente, per metà del suo fabbisogno, i contributi dei lavoratori e incassare, poi, l'altro 50% per mezzo di finanziamenti pubblici. Il fondo era gestito dalla Cassa Nazionale Infortuni, che, dal 1914, raccoglieva le quote assicurative dei lavoratori, all'epoca ancora facoltative. Il provvedimento in favore dell'agricoltura aveva l'ulteriore intento di calmierare il malcontento che ormai da tempo serpeggiava nel mondo contadino. Il settore, dopo lo scoppio della guerra, aveva visto diminuire la produzione per via della partenza degli uomini al fronte; i prezzi dei prodotti agricoli, in gran parte per sfamare i soldati, non potevano essere certo venduti ai prezzi speculativi che si praticavano in città.
Fu appunto l'inflazione a tenere banco tra i discorsi dei sindacati, che rivendicavano migliori condizioni e più tutela. I primi provvedimenti in tal senso andarono incontro a quei lavoratori più soggetti alla disoccupazione, specie dopo i previsti provvedimenti di smobilitazione, o a quei settori particolarmente delicati per la condotta della guerra e del commercio. E' il caso, ad esempio, dei lavoratori della Marina Mercantile, tra i primi ad usufruire di una completa tutela dagli infortuni e dalla disoccupazione, e così pure, a partire dal 1917, per tutti i lavoratori impiegati nell'industria bellica. Parallelamente, si venivano a realizzare un insieme di interventi atti a costituire una prima impalcatura per una tutela sociale riconosciuta a tutti.
Quanto finora svolto dalle società di mutuo soccorso a tutela delle famiglie dei disoccupati, veniva pienamente riconosciuto con i primi sussidi statali a loro favore. Lo Stato, da solo, provvedeva invece ad elargire le pensioni per gli invalidi di guerra, agli orfani e alle vedove; queste ultime avevano diritto a percepire il 50% del salario medio degli ultimi 40 anni contributivi. Di questa serie di provvedimenti ne usufruirono circa 10 milioni di persone.
Finita la guerra, l'obbiettivo del legislatore fu quello di dare un ordine definitivo a tutto il nuovo sistema previdenziale e assistenziale: venne creata un'assicurazione obbligatoria per l'invalidità e la vecchiaia, riconosciuta la disoccupazione per 180 giorni dopo il licenziamento a tutti i lavoratori dipendenti ( a partire dal 1919 ) e varata una nuova legislazione in tema di pensioni. Con il decreto n° 603 del 26 aprile 1919, venne riconosciuto il diritto alla pensione a operai e impiegati a basso reddito. Alla cassa pensioni contribuivano, per la prima volta, anche gli imprenditori, con una percentuale che andava tra il 4 e il 5 %, segnando una prima importante pietra miliare verso una piena forma di solidarietà sociale.
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