Nella prima guerra mondiale migliaia di soldati italiani morirono per la Patria e centinaia di altri soldati per quella stessa Patria ebbero il «dovere» di morire giustiziati. È la tragica constatazione di questo lavoro che ricostruisce la vicenda di militari inviati al patibolo talvolta perché trasgressori di una crudele legge marziale, più spesso perché, pur rispettando quella legge, rappresentavano l'occasione ideale per incutere terrore e ridurre a cieca obbedienza le truppe di stanza sul fronte italiano.
La fucilazione era la pena più grave comminata dai Codici Militari Italiani (art. 8-29 Codice Penale Esercito - art. 7-31 Codice Penale Marina) e rappresentava l'unico modo contemplato dalla nostra vecchia legislazione militare per infliggere la pena di morte. Si distingue in fucilazione al petto e fucilazione alla schiena. La prima era comminata per reati gravissimi ma non disonoranti. Veniva compiuta da un drappello di dodici soldati e di un caporale, scelti per anzianità fra tutte le compagnie presenti alla Sede del Corpo al quale apparteneva il condannato. Per l'esecuzione, l'ufficiale più elevato in grado schierava le truppe e fatte presentare le armi, leggeva la sentenza. Faceva avanzare il condannato, che poteva essere assistito da un ministro del culto e dopo averlo fatto sedere, gli faceva bendare gli occhi. Se il condannato lo chiedeva poteva essere lasciato in piedi e senza benda. Poi il plotone d'esecuzione compiva la sua missione. La fucilazione alla schiena era infamante e veniva comminata per i reati che denotavano l'estrema ignominia. Prima della fucilazione nella schiena, si compiva la degradazione. Poi si passava all'esecuzione: il condannato veniva fatto sedere, bendato, con le spalle rivolte al plotone di esecuzione; il plotone stesso, se già presente sul posto prima del condannato era schierato di spalle, in modo che condannato e plotone non si guardassero mai in faccia; dopo dietro-front del plotone veniva eseguita la sentenza.
Talvolta persino fumare davanti a un ufficiale significò giocarsi la vita, altre volte fu sufficiente cedere alla paura della morte e sottrarsi alle armi, oppure ancora affidarsi al sogno di lasciare la trincea ricorrendo all'autolesionismo. Accadde anche per chi, poche ore prima di finire davanti al plotone, aveva portato a termine imprese eroiche degne di una medaglia. |