Il Tenente Carlo Salsa nel suo libro descrive cosi la trincea: "Il fango impasta uomini e cose assieme. Nel camminamento basso i soldati devono rimanere accovacciati nel fango per non offrire bersaglio. Non ci si puo' muovere; questa fossa in cui siamo è ingombra di corpi pigiati, di gambe ritratte, di fucili, di cassette di munizioni che s'affastellano, di immondizie dilaganti: tutto è confitto nel fango tenace come un vischio rosso".
Di romanzi aventi come oggetto la prima guerra mondiale ne sono stati scritti molti e alcuni hanno ottenuto una fama meritata, come per esempio il celeberrimo “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Erich Maria Remarque. Il secondo conflitto non ha trovato un eguale fioritura di opere, fatta eccezione da noi per quelle relative alla resistenza. Mi sono sempre chiesto il perchè di questa differenza e penso che il motivo risieda nella particolare drammaticità di questo evento bellico che, pur non coinvolgendo, se non sporadicamente, le popolazioni civili, ha mietuto vittime fra i militari in misura inaudita, a causa di concezioni strategiche e tattiche obsolete, pur a fronte dei nuovi potenti e distruttivi mezzi forniti dalla tecnologia. La guerra in trincea era di per se stessa un inferno per la precarietà dei ricoveri, per la natura del terreno, per la sempre presente scarsa considerazione dei combattenti, numeri e non esseri umani, da usare semplicemente come bestie da macello. In questo quadro il libro di Carlo Salsa si differenzia dagli altri per la sua struttura e, più che un romanzo, può essere considerato una testimonianza scritta di vita vissuta; nulla a che fare con un diario, tuttavia, perché l'intreccio, la trasposizione degli eventi sono propri del romanzo, anche se la narrazione in prima persona, l'emozione effettivamente provata ne danno una luce tutta sua e notevolmente esplicativa di quella che doveva essere l'angoscia che tormentava di continuo i soldati, giorno dopo giorno, ora dopo ora. Scritto con sobrietà, senza mai cedere nulla alla retorica, nè cercar di muovere a facili pietismi, è un affresco di rara bellezza di un evento tragico che ha segnato un'epoca e una generazione; non vi sono certo trionfalismi, ma la sofferta consapevolezza dell'assurdità della guerra, che distrugge le cose, gli uomini e, questi, anche dentro. Preciso che l'intenzione, più che riuscita, dello scrittore non è tanto quella di portare alla commozione il lettore, ma di farlo riflettere sui veri valori della vita, così vilipesi e calpestati dall'orrore dei conflitti. E a tal proposito ben scrive Carlo Salsa nella sua introduzione “E allora, se la guerra dev'essere una partita d'interesse, si sappia cos'è. Nel preventivare le passività, si approfitti della ragioneria e si lasci da parte la retorica”.
Carlo Salsa (Milano, 1893 – Milano, 1962) è stato un giornalista, scrittore e sceneggiatore italiano. Iniziò a scrivere sin da giovanissimo, sue novelle e poesie apparvero sulla rivista letteraria L'Oceano nel 1908 e su la Gazzetta del Popolo nel 1910. Arruolato nel 1914 come tenente di complemento in fanteria, fu inviato al fronte all'inizio della Prima guerra mondiale, combattè sul Carso sempre in prima linea, rimanendo ferito e cadendo prigioniero nel 1917. Dopo la guerra ritornò all'attività letteraria, fu vicedirettore della Società Italiana degli Autori ed Editori e nel 1929 fondò con Leonida Rèpaci ed Alberto Colantuoni il Premio Viareggio. Collaborò, fra le altre, con la rivista letteraria Le grandi firme, diretta da Pitigrilli. Come consulente lavorò alla sceneggiatura de La grande guerra, di Mario Monicelli. Trincee non ebbe vita facile durante il periodo fascista per l'aspra critica alla guerra e alle codarde gerarchie militari che ne traspare sin dall'introduzione, e venne ristampato solo trent'anni dopo.
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