Caporetto calamita tuttora l'attenzione degli italiani. Anche chi non conosce i fatti sente volar per l'aria la parola caporetto scritta con la "c" minuscola, per indicare un collasso improvviso, un disastro quasi irreparabile. Storicamente Caporetto è una delle grandi battaglie di annientamento della storia contemporanea e la più grande disfatta dell'esercito italiano. Di tale esercito, che al momento in cui venne attaccato contava 1.850.000 soldati, in due settimane ne andarono perduti 350.000, tra morti, feriti e prigionieri, ed altri 400.000 si sbandarono verso l'interno del paese.
Il Generale Caviglia, che sara’ poi l’eroe di Vittorio Veneto nel 1918, disse: “Caporetto fu la prova più grave che l'Italia abbia superato. Dio sia ringraziato! Un anno dopo noi dicemmo l'ultima parola”.
Caporetto costituisce pero’ un enigma, a detta di Mario Silvestri: un crollo come quello dell'esercito italiano non si ritrova, nella prima guerra mondiale, presso nessun altro esercito; un crollo seguito, a brevissima distanza di tempo, da una altrettanto fulminea ripresa. E per cercare di spiegare questa involuzione/evoluzione militare dell’Esercito Italiano, Silvestri cerca di dare una risposta, analizzando minuziosamente le cause che portarono al crollo del 24 ottobre 1917 sotto i colpi degli austro-tedeschi.
Si tratta di un'analisi impietosa di una catastrofe prevedibile ed evitabile, di un evento assurto a simbolo di una caratteristica nazionale.
E qui si apre la diatriba lanciata all’indirizzo dell’”Italia Caporetta”. Si’ perche’ per Silvestri, Caporetto e’ come una partita di calcio, una finale ai Mondiali, dove l’Italia, sotto di due o tre reti, trova la forza insperata di reagire e soprattutto di vincere, capovolgendo un altrimenti prevedibilissimo esito.
La stessa compagine che subisce passivamente d’essere mandata ad un inutile macello in undici “spallate” precedenti e che viene accerchiata, annichilita e costretta sulla riva destra del Piave, riesce quasi miracolosamente a ricostituire le proprie fila, ad affrontare ulteriori e spesso estremi sacrifici e dunque ad aver ragione dell’avversario.
Le spiegazioni che ci fornisce Silvestri spaziano da un’attenta analisi tecnica dell’esercito italiano ad alcune considerazioni squisitamente personali, che trasudano di retorica di stampo fascista, tanto estemporanee quanto proiettate all’indietro di un cinquantennio. Discutibile allora l’ultima parte del libro che, tuttavia, offre un ennesimo buon saggio di ricerca e di rivisitazione scientifica di uno dei piu’ importanti eventi bellici del secolo passato.
Questa “Caporetto” di Silvestri potrebbe, di diritto, far parte integrante del suo precedente “Isonzo 1917”, se non fosse per le troppe considerazioni personali che ne spostano il centro di gravita’ sensibilmente fuori tema. Sarebbe consigiabile associare, alla lettura di questo libro, l’analisi militare e puramente tecnica del Generale Bencivenga (“La Sorpresa strategica di Caporetto"), per ammorbidire certi contorti troppo sentimentali di Silvestri e arricchire di una visione d’insieme piu’ completa lo studio tecnico della battaglia. |