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La Grande Guerra 1914-1918

 

APPROFONDIMENTI

LEONI O SOMARI

Nel 1961 lo storico e politico inglese Alan Clark pubblico’ un saggio sulla Grande Guerra, intolato “The Donkeys” (I somari).

Clark inaugurava cosi’ il periodo di revisionismo inglese sulla Prima Guerra Mondiale, con un originale critica al vetriolo ai danni dei generali e dei capi militari della British Expeditionary Force del 1914-1918.

Se ci si prende la briga di dare un’occhiata alla biografia di Clark, e’ facile capire come un tale saggio, ancor oggi considerato sovversivo dai militari britannici, abbia trovato terreno fertile tra gli orientamenti politici dell’autore, ma tuttavia il contenuto del suo libro va ben oltre le ideologie di massa.

Se, infatti, si e’ potuto parlare di revisionismo solo negli anni sessanta, nella “bionda”, ma da sempre conservatrice “Albione”, in Italia forse non si ha mai avuto il coraggio di riprendere in mano accadimenti storici di un secolo fa, per rivisitarli quando finalmente son cessati gli squilli di tromba e le parate trionfalistiche del primo dopoguerra.

Lo scrittore Alan ClarkIn buona sostanza, nessuno ha ancora avuto il coraggio di considerare, parafrasando Alan Clark, la ridda di generali Italiani da “salotto” degli inizi Nocevento, un branco di “somari” al comando di migliaia di veri e indomiti “leoni”.

Di contro, nessuno ha ancora provato almeno a ribaltare tale metafora, a favore degli stessi, molti (troppi) Marescialli d’Italia, che furono consacrati nell’olimpo degli eroi della Patria a partire dagli anni ’20. Forse nessuno si e’ ancora cimentato in quest’opera perche’, anche da uno studio generale ed introduttivo, emerge l’estrema difficolta’ nel poter formulare giudizi assoluti sull’operato dei generali italiani, cosi’ come su quello delle nostre truppe.

E’ mia presunzione allora cercare di sfatare l’ennesima diatriba, che da quasi un secolo vede impegnati gli storici e l’opinione pubblica europea, alla disperata ricerca di una verita’ finale.

Da una lettura superficiale dei principali avvenimenti della Grande Guerra, e soprattutto dal numero di caduti, feriti e dispersi che riempiono tristemente le pagine di ogni libro sull’argomento, scaturisce immediatamente lo sdegno, la rabbia impotente ed, in generale, un senso di fortissimo rifiuto di cio’ che lo stesso Papa Benedetto XV defini’ nel 1917 “una inutile strage”.

Se ci si ferma qui pero’, si rischia di soccombere ad una inutile e parziale “politica dello struzzo”, ad un punto di vista viziato cioe’, dal punto di vista sociale e politico contemporaneo, che preclude qualsiasi tentativo di vera comprensione del fenomeno bellico in questione.

Non si tratta, teniamolo ben presente, ne’ di giudicare, ne’ di intraprendere una caccia alla streghe per poter vendicare la memoria di chicchessia. Di contro, non bisogna pretendere di vestire i panni di quegli stessi “generali da salotto”, mettendosi a giocare alla guerra, armati di semplice carta, penna, statistiche e ruolini di marcia e movimento. Joseph Joffre

Prima ancora di diventare quella che oggi chiameremmo “distruzione di massa”, la Grande Guerra fu principalmente un evento sociale e politico; un doloroso, ma necessario momento di crescita e di sviluppo dell’intero genere umano. Se consideriamo, ad esempio, che proprio nel 1917 il popolo russo sperimento’ per primo la lotta di classe, vediamo nascere l’embrione della coscienza sociale in molti popoli europei, in seguito allo stesso “elettroshock” delle stragi di massa in trincea.

Quella che la scrittrice inglese Lyn McDonald ha intelligentemente definito “la perdita dell’innocenza del 1915”, e’ proprio lo stesso seme che, bagnato dal sangue sacrificale delle masse ancora intimorite e giocoforza infatuate dei propri “infallibili” regnanti, diede vita ad una variegata serie di concreti fenomeni di rivolta, ancor prima che qualcuno sventolasse la bandiera del revisionismo 50 anni dopo.

Per iniziare a capire cosa successe e soprattuto il perche’, consideriamo principalmente che l’Europa dell’inizio secolo era ubriaca di conquiste tecnologiche, di grandi trasformazioni e conquiste annunciate, nonche’ di blasoni reali e bandiere sventolanti, universalmente considerate un baluardo contro qualsiasi cambiamento indesiderato.

Chi identifica nell’attentato di Sarajevo la causa dello scoppio della Grande Guerra dimostra una certa ignoranza, perche’ di semplici pretesti come questo l’Europa era gia’ in attesa sin dall’inizio del secolo.

Non a caso il piano di attacco del 1914 ai danni di Belgio e Francia (il Piano Schlieffen), fu ideato e costantemente rivisto dallo Stato Maggiore Tedesco sin dal 1905, proprio in seguito alla nascita dell’”Entente Cordiale”, l’alleanza cioe’ tra Francia e Inghilterra che, nella fattispecie, limitava le mire espansionistiche del Kaiser.

L'Imperatore tedesco Guglielmo IILa Francia stessa aveva in serbo il “Piano XVII”, per riprendersi Alsazia e Lorena, strappate dai Prussiani nel 1870, mentre l’Inghilterra guardava alla nascente flotta commerciale e militare tedesca come ad una seria minaccia della sua egemonia nei mari del nord.

E l’Italia? Il nostro Paese stava a guardare, almeno fino al 1915, prima di decidere con chi schierarsi per potersi garantire la concretizzazione delle proprie mire espansionistiche.

Per non parlare poi delle guerre piu’ o meno “fredde” a livello coloniale, che gran parte delle principali potenze avevano gia’ sperimentato durante la corsa a possedimenti extra europei. Il quadro generale di inizio secolo e’ certamente dipinto a tinte fosche e nulla di buono lascia presagire, soprattutto se si verificheranno poi episodi come quello di Agadir o appunto di Sarajevo. Vediamo percio'che la masse vengono manovrate in tutta liberta’ dalle varie casate reali, al grido di rivendicazioni, patriottismi espansionistici, territori irredenti e quant’altro, che non fanno altro che alimentare grandi promesse di cambiamenti e migliorie a patto di modesti e brevi sacrifici.

La Grande Guerra infatti, scoppia ad agosto e tutti gia’ parlano della sua fine, prevista scelleratamente non oltre il Natale dello stesso anno. E le masse, gli eserciti di “sognatori”, che fino ad allora non hanno mai dovuto sostenere un simile, pesantissima prova, per mantenere lo status quo di fatto tra proletariato, borghesia ed aristocrazia, si ubriacano di canti, slogan e treni gremiti di eroi, tutti destinati a vincere, tutti quanti gia’ pronti a raccogliere le ricche messi di cio’ che i loro “rappresentanti” supremi (i regnanti e i politici di oggi sono certamente molto piu’ vicini a tale definizione) hanno gia’ seminato.

Se a capo di questa miriade di facili avventurieri, che imbracciano un ideale e un’arma con tanta leggerezza, si trova un Cadorna, un Foch o un von Falkenhayn, l’equazione non deve allora dare come risultato solo un gratuito sterminio di massa. Si’ perche’ gli stessi generalissimi della Grande Guerra sono a loro volta dei sognatori, pericolosamente annidati in una mentalita’ bellica ormai antica e certamente anacronistica di fronte alla “guerra di materiali” che si troveranno presto a intraprendere.

Luigi CadornaEcco che utilizzare a questo punto i coloriti termini di un “bestiario” puo’ forse andar bene solo per definire iconograficamente e colloquialmente un determinato comportamento tattico o comunque ben limitato nel tempo, ma non certo il doloroso processo di maturazione di tutti gli strati sociali che si trovano coinvolti in un lungo e devastante conflitto che cambiera’ per sempre l’Europa intera.

Un’altra precisazione e’ doverosa, soprattutto per lo studio comportamentale e professionale dell’operato dei generali della Grande Guerra. Il fatto che chiunque fosse al comando si sia, prima o poi, trovato costretto a mandare i propri uomini allo sbaraglio, totalizzando cifre terrificanti di caduti a fronte di eufemistiche conquiste, non implica necessariamente che i gradi militari venissero conferiti a macellai ed assassini di professione.

Tale e tanta era la scarsissima preparazione militare pre-bellica, e cosi’ pure la pressione politica che esigeva grandi vittorie per accontentare gli elettori, da costringere un Mambretti (giusto per fare un nome) a imbrattare col sangue di 30.000 uomini le falde tanto inospitali, quanto intenibili dell’Ortigara.

Lo stesso Colonnello Gatti, storiografo ufficiale allo Stato Maggiore di Cadorna, ci da’ un altro ottimo esempio della mentalita’ dei capi: nelle pagine del suo diario appare una frase altamente significativa, scritta proprio a meta’ del 1917 – “Distruggiamo specialmente il terrore dell’arretramento tattico. Puniamo chi, scioccamente, si incaponisce a rimanere in una posizione infelice; diciamo che si devono tenere ad ogni costo solo le posizioni definitive, non quelle di passaggio, altrimenti siamo su una strada sbagliata.”

Molti storici, anche alcuni non necessariamente spinti da ideali revisionistici, continuano a tutt’oggi a dissezionare l’opera di questo o quel comandante, per trovarne infine il presunto vizio originale, che faccia gridare allo scandalo.

Tempo sprecato direi, perche’ non ha alcun senso estrapolare e alienare una sola porzione di un complesso insieme sociale, molto piu’ compatto di quanto si percepisca, per esporla ad un’analisi tanto impietosa quanto parziale e viziata da sterili pregiudizi.

E fatica ancor piu’ inutile se non si tiene conto almeno delle testimonianze, come quella citata poc’anzi, di gente che ha avuto modo di osservare da vicino lo svolgersi degli avvenimenti e riportarne impressioni sufficientemente imparziali.

Soldati inglesi in trinceaAd esempio, l’operato di Douglas Haig, Comandante in Capo dell’esercito inglese dal 1915 in poi, va giustamente criticato dal punto di vista della sua cieca ostinatezza, squisitamente dettata da un carattere cocciuto ed introverso, ma non puo’ servire come giustificazione per tutti quei giovani che corsero spontaneamente incontro alla morte al grido di “Rule Britannia”. E’ risaputo che chi non andava all’assalto doveva vedersela con il plotone d’esecuzione, ma, come dicevo all’inizio, furono moltissimi i fenomeni di diserzione e rivolta, a partire dal 1917 in poi, sintomo che qualcosa avrebbe dovuto necessariamente cambiare.

Lo stesso Gatti ci viene nuovamente in aiuto con un'altra interessante annotazione: "E' meglio pensare a cio' che si fa, mentre le masse non hanno ancora tutta l'idea della loro potenza, la rabbia dei loro dolori e del loro sangue, e la cupidigia dell'avvenire".

Ridimensioniamo in definitiva il comportamento sia di chi comando’, sia di chi esegui’ ordini piu’ o meno pedestremente. L’intera europa del 1914-1918 era in fiamme e ben presto il singolo stesso si trovo’ a combattere semplicemente per portare a casa la “ghirba” e non piu’ per inseguire un’ideale politico o economico.

Cio’ che segui’ fu la riprova di un protratto periodo di malessere sociale, che sarebbe stato in qualche modo curato con ulteriori atrocita’ e nuove concrete prove sulla terribile irrazionalita’ di imbracciare un’arma per uccidere un fratello.

Ancor oggi ci viene ampiamente dimostrato che di tali costosissime e devastanti cure l’uomo sente in qualche modo il bisogno; forse perche’ e’ destino che gli uomini dimentichino presto, troppo presto, gli errori che hanno compiuto, si rende spesso necessario riportarli davanti alla sanguinosa realta’ dei loro piu’ grossi sbagli, sperando ogni volta in un deterrente definitivo.

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