Ottant'anni dopo la guerra del 1914-18, Martin Gilbert offre una opera completa e dettagliata su tutti i fronti di combattimento della Grande Guerra.
E riesce a parlare non soltanto di cifre (dei morti, dei feriti, dei prigionieri, dei proiettili sparati, delle vittime di gas tossici e armi chimiche) ma anche le voci: di coloro che dalle trincee confidavano ai familiari o semplicemente a se stessi il proprio angosciato stupore di fronte a un apocalittico spettacolo di orrore e crudeltà.
Come tutti hanno avuto modo di riconoscere anche Gilbert, da buon inglese, racconta la "sua guerra" trascurando, a volte dimenticando, fronti assai importanti e non meno sanguinosi di quello occidentale. Nonostante tutto il suo libro ha il pregio di raccontare i fatti partendo dagli uomini, da quei soldati che ogni giorno affrontavano la morte coscienti della loro situazione. Ha la capacità di far parlare questi protagonisti dimenticati, ricordando che dietro le cifre, anche se impressionanti, si nascondono persone che hanno idee, sentimenti, paure, emozioni.
Uomini che hanno lasciato la propria famiglia per seguire un destino che, come ebbe a dire Papa Benedetto XV, si risolse spesso in una "inutile carneficina". L'opera è sicuramente molto ben curata sia sotto il profilo storiografico che su quello strettamente tecnico anche se, come per altri autori anglossassoni (John Keegan),risulta sottovalutata l'entità delle operazioni sul fronte italiano e isontino.