La Grande Guerra 1914-1918

 

 

 

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Operazioni chirurgiche di guerra Presso l’Ospedale n° 73 di Schio

Infermiera della Grande GuerraUna importante documentazione conservata presso la biblioteca civica di Schio (provincia di Vicenza) ci permette di capire quale fosse la tipologia delle ferite patite dai soldati durante a Grande Guerra.

Si tratta di numerosi protocolli rigati su cui venivano riportati interventi di soccorso e operazioni chirurgiche praticati presso l’Ospedale di Guerra n° 73. La raccolta cartacea copre il periodo bellico dal 17 giugno 1916 all’estate del 1918. Lunghi mesi caratterizzati da aspre battaglie, con migliaia di soldati chiamati a difendere la Pianura Padana dallo sfondamento delle truppe imperiali, nell’arco alpino compreso tra il Monte Pasubio e gli Altipiani. La documentazione riporta i nomi degli ufficiali medici succedutisi al comando della struttura sanitaria. Inizialmente a dirigere l’ospedale venne chiamato il tenente colonnello Agostinelli; nel dicembre del 1917 gli subentra il maggiore medico Giovanni Zurria, che nel 1918 sarà coadiuvato dal capitano professor Arnaldo Vecchi. Le schede redatte dagli infermieri di turno sono esaurienti e molto dettagliate, con grafia ben leggibile grazie all’inchiostro a pennino o stilografica. Comprendono il giorno d’arrivo del ferito, talvolta anche l’ora, sempre è riportato il nome, grado e reparto di appartenenza, compresa la specialità dell’arma. La rilettura degli interventi praticati oggi ci pone davanti alla tragica realtà di quel tempo, costantemente caratterizzata da sangue sparso ovunque nelle sale operatorie, alle amputazioni eseguite con una “disinvoltura disarmante” e sistematica, ma altresì logiche se abbinate all’effetto degli scoppi che laceravano in maniera scomposta, e spesso irrisolvibile, gli arti dei poveri militari. Estese necrosi, infezioni Le operazioni della Grande Guerra dettagliate nei rapporti conservati a Schiopurulente ed inarrestabili emorragie spingevano i medici a tagliare gambe e braccia a molti pazienti. Uno di problemi più gravi era sicuramente procurato dal fatto che l’ospedale attrezzato fosse molto lontano dal luogo di ferimento; il trasporto di feriti avveniva inizialmente su barelle o per trascinamento al riparo d’una trincea, quindi al posto di primo soccorso.

L’arrivo dei bisognosi di cure presso una sala operatoria era il culmine di un lungo viaggio sui mezzi della Croce Rossa, attraverso strade dissestate e spesso battute dalle artiglierie nemiche. Tutti fattori deleteri per patologie di pazienti al limite della trasportabilità. Difficile poi redigere una statistica per conoscere quali ferite fossero più comuni tra i ricoverati. Leggendo i quaderni si apprende quanto potessero essere mortali le pallette di piombo degli shrapnell (dal corpo di un soldato ne vennero estratte 8!). Altrettanto dicasi per le pietre, scagliate ovunque dagli scoppi di granate e frammischiate nelle carni a schegge metalliche, pezzi di tessuto e parti ossee. Nel caso il militare giungesse morto all’ospedale, subito si praticava la necroscopia, atta a valutare la causa del decesso.

Nei verbali di intervento il decorso operatorio è appena abbozzato, constatato i miglioramento, subito su trasferiva l’infermo altrove per la convalescenza. Ciò non esclude il sorgere di complicanze dovute alle infezioni, con conseguente decesso. Al termine di centinaia di cartelle cliniche, alla documentazione è stato allegato il regolamento per le infermiere volontarie della Croce Rossa, a seguire una composizione allegra e canzonatoria che celebra la mensa dell’Ospedale n° 73. In mezzo a tanta desolazione e morte, il desiderio di evadere colpiva evidentemente anche i chirurghi, troppe volte spettatori impotenti della morte di tante giovani vite.

GDF

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