Intervista a Giovanni Lafirenze, “Sminatore specializzato”
Giovanni Lafirenze nasce a Bari il 5 Settembre del 1959. Compiuti i sedici anni parte come volontario alla Scuola Allievi Sottufficiali di Viterbo. Dopo la specializzazione di operatore Ponti Radio viene distaccato presso la Caserma Cadorna di Bolzano. Nel 1983 decide di offrire una poderosa svolta al suo tracciato professionale. A malincuore, si separa dalla propria divisa, da quelle mostrine da Geniere che ha sempre ammirato, e si lascia coinvolgere da un nuovo mestiere: il cercatore di bombe, a permetterglielo è la BO.CA.MI. di Milano, una ditta specializzata in recupero bellico, sia in terra che in mare. Dopo anni trascorsi in giro per l’Italia a bonificare i terreni dagli ordigni esplosivi, segue uno specifico corso dove consegue il brevetto di “rastrellatore da mine”.
Nel 2002 Lafirenze è assistente tecnico B.C.M., nel frattempo presta la sua opera presso altre ditte, specializzate anch’esse nel recupero ordigni inesplosi, conosce altri colleghi, ma la sua vita non cambia, almeno fino al 13 Novembre del 2004 quando subisce un grave incidente, che lo costringe lontano dai cantieri per quasi un anno. In quei tragici mesi, decide di scrivere un libro “La Mia Bonifica”, che a suo giudizio deve rappresentare un messaggio d’amore al suo ambiente, e uno strumento-vetrina che permetta ai lettori di addentrarsi in un lavoro poco considerato dall’opinione pubblica. A distanza di 12 mesi riprende a confrontarsi con la guerra sepolta e le sue bombe. Intanto “La Mia Bonifica”, ottiene discreti successi. L’autore è chiamato in diverse circostanze a sostenere conferenze su questo “nuovo” tema. Conseguentemente alla disgrazia avvenuta domenica 20 gennaio ad Asiago abbiamo chiesto a lui di esternare alcune considerazioni sul tema “recupero”.
Ci risiamo. La Grande Guerra sembra non aver terminato la sua missione di morte.
“Ancora una volta abbiamo voluto sfidare un vecchio residuato bellico, ma in cambio riceviamo una sconfitta unta di sangue. Un uomo muore all’interno del garage della propria abitazione, mentre tenta di “ripulire” un ordigno del primo conflitto mondiale. Volendo inseguire qualche perché, difficilmente potremo ottenere risposte in grado di giustificare il ripetersi di tragedie quasi annunciate e purtroppo poco valutate”.
Un tempo “il recuperante” era un vero e proprio mestiere, oggi si muore per hobby.
Si è Giusto, molti nostri connazionali nel primo dopoguerra, per mezzo del recupero e la conseguente vendita dei numerosi ordigni bellici, riuscirono a soddisfare le urgenti esigenze delle proprie famiglie, e non solo. Oggi “miseria, povertà, bisogno e fame” non possono essere considerate, motivazioni adatte alla spiegazione dell’accaduto d’Asiago. Alla stessa maniera sono sicuro che tutti siano a conoscenza del pericolo, che si crea nel maneggiare residuati bellici.
Nelle zone a ridosso del fronte la necessità portò alcuni ad una competenza degna degli artificieri professionisti.
“Quante volte ho ingoiato citazioni tipo: «Quell’uomo è un vero esperto». Ma mi sono sempre chiesto: come si ottiene la patente d’esperto? Ogni granata sia della Prima, che della Seconda guerra mondiale costituisce un’unica diversa minaccia, e pensare solo di maneggiarla diventa un viaggio al fianco di un pericolo incalcolabile. Proviamo per un attimo attraverso l’aiuto dell’immaginazione a seguire il percorso di un ipotetico «abile autodidatta»: lo vedremo «caricare all’interno della sua auto il residuato bellico per trasportarlo altrove». Questa manovra, ovviamente aumenterà vertiginosamente aggressive sollecitazioni, che colpiranno la granata, ma ancora peggio durante trasporto e tragitto, coinvolgerà numerose persone all’oscuro di incrociare un’automobile carica di tritolo, pronto ad esplodere in qualsiasi momento del viaggio. Ma questo per fortuna non avviene. Ora il sedicente «esperto» è giunto a destinazione. Lo notiamo scendere dall’auto e avviarsi verso il bagagliaio, custode dell’oggetto. Con cura solleva la granata e dolcemente si avvia verso il luogo da lui scelto perchè sicuro e idoneo alle sue necessità. Ovviamente il trasporto della granata è manuale. Il possessore della «Patente da esperto», conosce, a suo dire, benissimo l’ordigno e ha già stabilito che questo non è pericoloso. Lo trasporta evitandogli urti in ogiva o nei pressi della spoletta, che ha già pulito. Ma anche quest’ultima azione può rivelarsi un errore e spiego perché: pulire l’ogiva per riconoscere la spoletta è un’operazione drammatica in quanto si disturba un meccanismo che riconosceremo solo a fine operazione.
In questa fase la vita del signor ”Esperto” è soggetta al meccanismo della spoletta. Infatti se la pulisce significa che è sporca quindi è completamente all’oscuro di cosa stia sfregando, ma soprattutto ignora del tutto le condizioni chimico/meccaniche del congegno. Ma non perdiamo di vista il nostro uomo. In questo momento vediamo che ha posato l’ordigno su di un piccolo tavolo di legno e tenta di spolettare l’ordigno bellico.
Ora la sua vita appartiene alla sua stessa azione sulla spoletta, che sia a tempo ad urto o entrambi i funzionamenti, non bisogna mai dimenticare che questa contiene: un detonatore primario carico d’esplosivo molto sensibile ed instabile, collegato ad un detonatore secondario inserito all’interno della carica esplodente della granata. Il seguito è cronaca, dal momento che spesso tutto termina con lutti e disperazione”.
Si dovrebbe trarre insegnamento dall’ultimo tragico evento accaduto ai Pennar. “Sarebbe auspicabile. desidero terminare, quest’amaro commento destinando un piccolo pensiero, ma colmo d’amore ai famigliari della vittima ed un abbraccio a tutti i recuperanti della Città d’Asiago, ricordando Loro una volta di più, che in questo lavoro la patente d’esperto non appartiene a nessuno, (non la possiede neanche chi scrive), e che le granate non vanno mai toccate, anzi immediatamente segnalate ai Carabinieri di zona”.
Giovanni Dalle Fusine