Nato a Finalmarina il 4 maggio 1862, Enrico Caviglia partecipò alla campagna d'Africa del 1888/89 col grado di Tenente al 2° artiglieria e negli anni 1896-97, distinguendosi anche durante la battaglia di Adua.
Dopo diversi incarichi, agli inizi del secolo scorso fu nominato addetto militare a Tokyo a Pechino. Nel 1915 venne nominato Maggiore generale. Nel 1916 si distinse anche sul Carso e venne decorato con la Croce di Cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia "per la perizia e il valore dimostrati". Il 14 giugno del 1917 fu promosso Tenente generale per meriti di guerra e nell'agosto travolse il nemico nella battaglia della Bainsizza.
E’ chiaro che ci troviamo davanti ad un personaggio di alta levatura e particolare valenza, una volta inserito nel contesto caporettiano della “dodicesima battaglia dell’Isonzo”. Proprio di questo ennesimo scontro tra le forze schierate sul confine orientale italiano, il generale Caviglia ci racconta la propria narrazione di come andarono le cose, privilegiando, guarda caso, la mancata intesa e collaborazione con quel famoso XXVII corpo d’Armata comandato dal “rivale” Pietro Badoglio. La testimonianza di Caviglia è particolarmente interessante per due principali motivi: innanzitutto si rivela l’autorevole e dettagliatissimo reportage di un testimone oculare d’eccezione, partecipe in prima persona alla disfatta dell’ottobre 1917; parallelamente si impone come attacco e critica diretta al comando di Pietro Badoglio, che fu in parte “salvato” anche dall’intervento dello stesso Caviglia, che ne raccolse, cercando di portarle in salvo, gran parte delle truppe ormai sbandate e prive di direttive.
C’è tuttavia da considerare che le parole del Caviglia, scritte nel 1933, sono molto spesso inquinate dal rancore che il generale serbò per Badoglio fino al suo ultimo giorno di vita. Caviglia infatti, si ritrovò dapprima con il fianco destro scoperto davanti all’Isonzo, proprio perchè Badoglio volle far di testa sua, senza coordinarsi con il resto dell’esercito, poi incaricato di reprimere con la forza la presa di Fiume di D’Annunzio (caldeggiata fortemente dallo stesso Badoglio), infine costretto a districare la delicatissima matassa dell’armistizio firmato così avventatamente e sconsideratamente quell’8 settembre del 1943.
Anche in quest’ultima occasione fu tutto merito di Badoglio delegare la tanto spinosa questione alla persona di Caviglia. Per fortuna, al momento della stesura di questo saggio, il generale non poteva sapere che il suo acerrimo rivale gli avrebbe giocato anche quest’ultimo tiro. Non possiamo allora prendere per oro colato tutto quanto ci viene narrato ne “La dodicesima battaglia”, anche se l’autore riesce a limitare il livore e il suo fortissimo desiderio di rivalsa, in una narrazione abbastanza obbiettiva e coerente con ciò che realmente accadde nell’ottobre del 1917.
Non a caso il generale Caviglia si dichiara, nella sua premessa all’opera, “rudemente sincero” e desideroso di riconoscere le proprie responsabilità e i propri torti, disdegnando a priori la retorica lusingatrice e le pietose attenuazioni del caso. "La dodicesima battagli"a è un’opera di indubbio valore storico, soprattutto per chi vuole approfondire e sviluppare ulteriormente la questione di Caporetto. Sarebbe tuttavia un grave errore limitarsi alla lettura di questo saggio, tralasciando le altre testimonianze di Cadorna, Capello, Cavaciocchi, Gatti e dello stesso Badoglio – si peccherebbe infatti di parzialità, perdendosi molti altri importantissimi pezzi di un “rompicapo” storico che affascina ancora migliaia di studiosi in tutto il mondo.
Arnoldo Mondadori non ristampa piu' questo libro
che e' tuttavia disponibile presso:
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