Nel corso della prima guerra mondiale, i soldati del generale Leone, dopo aver conquistato, lasciando sul terreno tremila caduti, una cima considerata strategicamente indispensabile, ricevono l'ordine di abbandonarla. Poi l'ordine cambia: occorre che la cima venga di nuovo tolta al nemico.
Gli austriaci, però, vi si sono saldamente insediati e la difendono accanitamente con due mitragliatrici. Gli inutili assalti, nemmeno protetti dall'artiglieria, si susseguono provocando ogni volta una strage tra gli attaccanti.
Stanchi di essere mandati al massacro da un generale tanto incompetente, quanto stupidamente esaltato, una parte dei soldati inscena una protesta: il generale Leone ordina, come risposta, di punirli con la decimazione.
Costretti ad uccidere o ad essere uccisi da uomini come loro, vittime dello stesso mostruoso ingranaggio, i soldati italiani, in gran parte ex contadini, rivolgono la loro fiducia a quei pochi ufficiali - come i tenenti Ottolenghi e Sassu - che giudicano quella e tutte le guerre come inutili stragi. Ma il primo muore, nel tentativo di impedire il massacro dei suoi uomini, mentre Sassu viene condannato alla fucilazione per essersi opposto a un ordine iniquo di un suo superiore.
Liberamente ispirato al romanzo di Emilio Lussu "Un anno sull'Altipiano", si tratta di un lungometraggio di chiara impronta pacifista e antiautoritaria, che mette alla luce la follia della guerra. La guerra che Lussu descriveva non era una guerra di popolo, era una guerra con delle logiche di classe molto forti.
Il film è indubbiamente molto toccante e narra la vicenda di moltissimi degli oltre 600.000 caduti della prima guerra mondiale, mandati con le sole baionette all'assalto di mitragliatrici nemiche o finiti davanti al plotone di esecuzione per decimazione (un uomo ogni dieci per reprimere ogni tentativo di ammutinamento).
Superba interpretazione di Volontè, non privo di un certo impeto propagandistico-socialista al passo con l'epoca. Molto bravo anche Frechette, che interpreta con sincerità il tenente Sassu e che in definitiva è il personaggio centrale del film. Sassu cerca dapprima di compiere il proprio dovere senza dar spazio a riflessioni, ma finirà per rifiutare gli inutili assalti suicidi contro le postazioni austriache e i metodi repressivi dei suoi superiori.
Non manca un certo cameratismo della truppa, una ridicolizzazione voluta dei Comandi e della loro aristocraticità, contrapposta alla semplicità e alle inflessioni dialettali dei soldati-contadini. Da ricordare l'episodio delle pinze, quello delle corazze e quello della feritoia 14, nonché quello dell'esecuzione camuffata.
Francesco Rosi insistendo sulla spontanea alleanza che durante la "grande guerra" si formò tra soldati che spesso non sapevano leggere e scrivere e ufficiali di molte letture e di altrettanti tormenti ("letterati" sono sia il tenente Sassu che il tenente Ottolenghi, i protagonisti di Uomini contro), non fa che levare via le incrostazioni retoriche depositate nei capitoli dei libri scolastici riguardanti il conflitto 1915-18.
E avvia un colloquio schietto, su cose che lo riguardano parecchio da vicino (quale è il ruolo dell'intellettuale in una stagione che costringe a delle scelte, e fin dove e fino a quanto egli è libero di scegliere?), con i primi testimoni di quel che avvenne nei mesi passati dai "dannati della terra" sull'altopiano.
L'occasione gli consente (cosa che non si comprese alla prima uscita del film) di dire qualcosa, anche di sgradito, sulle pratiche della repressione che si credeva di poter rimuovere a suon di slogan e, nel contempo, sui limiti di una ribellione sostenuta da una élite che, con le masse, intratteneva un rapporto fideistico, molto più "letterario" ed evasivo di quanto allora si sospettasse.
Lo stesso regista, Francesco Rosi, qualche anno fa fu denunciato per vilipendio all'esercito, quindi assolto in istruttoria. Il film venne boicottato e addirittura ritirato dalle sale. Oggi, fortunatamente, è stato riscoperto da alcune televisioni nazionali ed è disponibile in videocassetta.
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