Così come oggi il giornalismo televisivo, allo stesso modo, durante il primo conflitto mondiale e soprattutto negli anni successivi, con l'avvento del sonoro, il Cinema dei pionieri del grande schermo ha permesso alla moltitudine di conoscere i diversi aspetti della guerra. Proprio in quel periodo, infatti, le proiezioni cinematografiche conoscono la loro prima diffusione di massa.
Solo negli Stati Uniti, tra il 1915 e il 1918, vennero prodotti 2.500 film; in Europa, la nuova arte visiva ebbe un esordio un po' più stentato, ma non per questo meno prolisso, superando comunque le 400 opere. Durante la guerra, la maggior parte dei film realizzati ebbe chiari intenti propagandistici, e soltando a partire dagli anni '20, i temi ispirati alla prima guerra mondiale iniziarono ad essere molto più variegati.
Purtroppo, le prime vere iniziative letterarie, promosse soprattutto in Europa, erano state arrestate dalla guerra, e molti registi di talendo dovettero interrompere i loro lavori. Sta di fatto, che, già da prima del 1914, il vecchio continente si era fatto promotore del genere epico con il kolossal "Cabiria", su soggetto e didascalie di Gabriele D'annunzio, e con l'uscita di “Marcantonio e Cleopatra”, girato nel 1913 da Enrico Guazzoni, che tra l'altro aveva avuto un certo successo negli Stati Uniti con "Quo vadis?"; i registi Mario Caserini e Eleuterio Rodolfi, con il loro "Gli ultimi giorni di Pompei" (1913), erano anche riusciti a girare con i primi effetti speciali e scenografie particolarmente elaborate, superando i tremila metri di pellicola.
Ma durante il corso del conflitto, la produzione europea perse sia in qualità che in quantità, diventando succube del successo americano. L'impatto culturale della cinematografia d'oltreoceano fu molto forte, anche perchè la diffusione della letteratura classica, era molto limitata per via dell'analfabetismo; i divertimenti alternativi al cinematografo erano poi piuttosto scarsi e la popolazione si lasciò facilmente prendere dall'entusiasmo per la novità tecnologica. Neppure il cinema di propaganda venne pienamente sfruttato in Europa quanto in America. In Italia, le autorità militari si accorsero troppo tardi dell'efficacia della cinematografia sulla psiche umana. Tra i pochi film prodotti a tale scopo troviamo "Maciste Alpino", di Luigi Romano Borgnetto, prodotto dalla Itala film (1916), con la regia di Giovanni Pastrone che aveva portato al successo internazionale anche altri film come "La caduta di Troia" del 1911 e "Cabiria" nel 1914. La guerra, purtroppo, interruppe la sua carriera, e così anche il suo capolavoro, "La Bibbia", che non sarà mai terminato e tutti i set demoliti.
I registi cinematografici della grande America si accorsero, di avere tra le mani un nuovo strumento tecnico-letterario capace di suscitare i sentimenti umani, molto di più di quanto avessero finora fatto letteratura e arti visive. |
I registi cinematografici della grande America si accorsero, invece, di avere tra le mani un nuovo strumento tecnico-letterario capace di suscitare i sentimenti umani, molto di più di quanto avessero finora fatto la letteratura e le altre arti visive. Solo pochi registi, però, valorizzarono fin dall'inizio questa possibilità, creando opere di un certo spessore letterario. Durante il conflitto, il cinema ebbe un orientamento più che altro propagandistico, con il fine di coinvolgere emotivamente la popolazione al dramma della guerra e di inculcare tra i valori della vita quatidiana il mito dell'eroe e del valore, elementi che saranno fondamentali pure nella propaganda fascista. Il soldato-simbolo, con il suo eroismo, la sua triste vita privata fatta di addii e di grandi amori e la crudeltà della guerra rimasero difatti protagonisti dell'immaginario collettivo ancora per molti anni.
I temi che maggiormente si svilupparono durante gli anni della guerra furono orientati, più che altro, all'esaltazione della guerra e ad un certo estetismo del campo da battaglia; e ciò non soltanto inteso in senso letterale ma anche in senso figurato: uomini con l'elmetto e donne innamorate sono spesso protagonisti di una storia privata che si intreccia in qualche modo con la guerra; e ognuno di loro ne combatte a sua volta una propria interiore, che di volta in volta può assumere i più diversi significati: ideologici, esistenziali o puramente materiali. Esiste la guerra dei patrioti, quella degli uomini che sperano di migliorare il proprio futuro dopo la pace, quella degli innamorati che attendono di poter abbracciare la propria amata. Molti di questi uomini torneranno a casa disillusi.
In Italia, i patrioti rinfacceranno ai politici la vittoria mutilata, i contadini la terra promessa mai avuta, molti giovani saranno mutilati o perderanno la loro vita, altri non avranno più il loro lavoro. Questa disillusione, accompagnata da una certa rassegnazione qualunquista al “sacrificio inutile”, continuò ad essere rappresentata anche molti anni dopo la fine della guerra. Alla propaganda del riscatto nazionalista si affiancò dunque la cinematografia pacifista. "La grande illusione" di Jean Renoir (1937) è forse uno degli esempi più classici di questo filone letterario. Secondo Renoir tutti siamo perdenti di fronte alla guerra. Nel suo film, l'aristocratico, il ricco ebreo e il proletario, prigionieri nel campo di concentramento tedesco, condividono il loro comune destino pensando ad un modo per evadere. La prigionia assume, anche, un valore altamente simbolico: tutti siamo prigionieri della guerra.
A questa comunanza si associa, però, la diversità delle classi sociali e le loro naturali contrapposizioni, che sono proprio la base di quei diversi interessi che ogni individuo trova nella guerra e che prima citavo. Questo fu il grande dramma della prima guerra mondiale. Ognuno combatte la propria guerra: nazioni contro nazioni, uomini contro uomini. Questa sorta di conflitto sociale parallelo viene visto da Renoir attraverso la teoria delle “barriere orizzontali”, dove ogni casta sociale vede il mondo in maniera trasversale rispetto a quella che poteva essere la sola contrapposizione delle nazioni. Il nobile tedesco Rauffenstein, che comandava la fortezza-campo di concentramento, si ritrova alla fine concorde con l'aristocratico francese, prigioniero di guerra. Entrambi si riconoscono nel mondo dell’antica cavalleria, in un’aristocrazia fondata sul dovere delle armi, ma senza dimenticare comunque la propria fedeltà verso i compagni e la patria. L'aristocratico francese – De Boeldieu – sacrifica così la propria vita per permettere la fuga agli altri prigionieri. Al tedesco Rauffenstein, dalla cui mano era stato ucciso, così dirà sul punto di morire: “per un uomo del popolo è terribile morire in guerra. Per voi e per me, è una buona soluzione”.
Quell'uomo del popolo che ha interesse a salvare soltanto la propria pelle sarà intepretato da Alberto Sordi e Vittorio Gasmann nel film "La grande guerra", di Mario Monicelli (1957), dove solo nel finale, i due protagonisti, catturati dagli austriaci, rendono onore alla propria divisa.
Una estremizzazione della guerra degli “egoismi”, è sicuramente il film di Kubrik "Orizzonti di gloria" (1957). In questo caso, la sete di carriera e il fanatismo di un generale francese, porta solo alla morte degli uomini del suo reparto, mandati all'assalto delle posizioni tedesche senza alcuna possibilità di vittoria. Il fallimento dell'operazione viene alla fine imputata agli stessi soldati e tre di loro vengono fucilati per viltà di fronte al nemico.
Al tema delle divisioni sociali, si contrappone tutta una serie di film sul cameratismo, dove, all'opposto, viene sottolineata l' unione degli uomini di fronte al dovere verso la patria e una dovuta quanto necessaria solidarieta verso il compagno d'arme: il camerata. Questa unione fraterna non fa altro che compensare la solitudine degli uomini di fronte al mondo. Ma quella solitudine non è dovuta certo alla guerra dei soldati e dei cannoni ma allo stesso egoismo degli uomini, che pensano solo a se stessi. Con lo spirito di cameratismo, si cerca di superare questo isolamento e di sopperire a quegli affetti che ogni uomo cerca.
Questa sorta di solidarietà collettiva renderebbe perciò capaci di vincere ogni paura, perfino quella della morte. Ed è così, ad esempio, che nel film "Le vie della Gloria", di Howard Hawks (1936), un gruppo di soldati francesi deve resistere eroicamente all'avanzata tedesca anche sacrificando la propria vita, in nome di uno spirito superiore, quello dell'onore e della comunanza alla Patria. Entrambi i generi sono accomunati dalla presenza di un valore assoluto che si pone al di sopra di qualunque sacrificio umano e che consente di colmare il vuoto della solitudine e la paura della nullità dell'esistenza: nel primo caso il concetto di umanità; nel secondo quello del patriottismo e del coraggio. Al contrario, nel film "All'ovest niente di nuovo", diretto da Lewis Milestone (1930), si ha una visione più nichilista: gli studenti tedeschi che si arruolano volontari si ravvedono dei loro ideali politici e scoprono che la guerra ha poco da spartire col coraggio, il dovere o l'etica. Il film, tra i primi con il sonoro, mostra le crudeltà della guerra con uno straordinario realismo. Riproposto in una nuova versione nel 1979, e' tratto dal romanzo "Niente di nuovo sul Fronte Occidentale" di Enrico Maria Remarque.
Il realismo cinematografico è spesso una delle armi utilizzate dai registi per coinvolgere il pubblico: quelle tragiche conseguenze mostrate in sequenza sono per alcuni il frutto di un infausta decisione politica; per altri lo spettacolo di un epica battaglia. Tutti i registi fanno comunque appello al sentimento umano o attraverso qualche forma di romanticismo o per mezzo della tragedia; di solito è utilizzato un racconto che si avvicina a quello dell'esperienza più comune. Così, nel film "L'angelo delle tenebre", diretto da Sidney Franklin (1935), il protagonista Herbert Marshall, prima di fare viaggio dall'Inghilterra per raggiungere il fronte francese, desidera sposare la propria donna.
Al tema delle divisioni sociali, si contrappone tutta una serie di film sul cameratismo, dove, all'opposto, viene sottolineata l' unione degli uomini di fronte al dovere verso la patria e una dovuta quanto necessaria solidarieta verso il compagno d'arme: il camerata. |
Non trovando alcun rappresentante di Dio per celebrare il matrimonio, i due trascorrono la loro ultima notte nel piacere. Qualche tempo dopo, lui rimane ferito in combattimento e resta cieco. Ciò che però si pone in evidenza nel film non è la sofferenza fisica ma quella interiore. La mente del protagonista è offuscata dalla paura di non essere più accettato dalla propria amata per il suo stato fisico o peggio che venga sposato solo per pietà. In una sorta di autodistruzione dell'io, attraverso un estremizzazione della propria sofferenza, l'eroe cerca di distruggere il suo amore facendo credere a lei di non amarla più, in modo da allontanarla. L'ostentazione della sua donna e il suo rifiuto ad abbandonare il suo uomo, si pone come conferma della superiorità dell'amore su ogni sofferenza. Anche in questo caso, dunque, è solo la forza di “un valore univoco” a porsi come speranza per l'umanità.
Il tentativo di sdrammatizzare la guerra è portato avanti con una certa efficacia anche dalla comicità di alcuni attori. Tra i primi ad emergere è Charlie Chaplin, con il film "Charlot in trincea " (1918). Il vendicatore “degli oppressi” sogna di catturare da solo il kaiser e di porre così fine alla guerra in nome del protagonismo popolare. Il film è in chiara funzione antitedesca, ma le origini umili dell'eroe ne fanno un successo, poiché, evidentemente, la riuscita dell'impresa è legata al desiderio di riscatto degli uomini inviati al fronte nei confronti dei loro stessi governi, che gli costringono a combattere una guerra che non è la loro (Charlot nel film pensa più a salvare la pelle che a combattere il nemico), ma che dopo tutto, alla fine, si sentono i soli veri eroi. I fotogrammi di pellicola censurati, sia nella parte iniziale del film sia in quella finale, mostrano difatti tutti i potenti del mondo esposti al ludibrio. La scenografia e la cinematica del film fanno dell'opera di Chaplin una autentica prima ridicolarizzazione della guerra, dove bombe ed esplosioni vengono sostituite da fuochi d'artificio e girandole. Questo desiderio di riscatto degli umili in guerra è stato ben rappresentato anche a distanza di molti anni, ad esempio, nel "Sergente York" di Howard Hawks (1941), dove il protagonista, interpretato da Gary Cooper, dopo aver vissuto parte della sua gioventù in povertà, ritrova se stesso prima con il conforto di un pastore e poi diventando un eroe di guerra.
Altri registi utilizzano la paura per dare forza al loro messaggio pacifista. Il francese Abel Gance, nel suo "J'accuse" (1919), mette in scena la storia di un soldato che tornato dal fronte racconta ai suoi amici di uno strano sogno che aveva fatto qualche tempo prima: i soldati morti erano usciti dalle loro tombe ed erano tornati alle loro case per vedere cosa era cambiato e per raccontare delle atrocità della guerra; ma ciò che trovano è il quotidiano materialismo della vita di sempre.
Nel film "I quattro cavalieri dell'apocalisse", di Rex Ingram (1921), alla suspance si affiancano ancora i temi dell'amore e del sentimentalismo. Il travolgente rapporto tra i due protagonisti, Rodolfo Valentino e Alice Terry, assume un valore altamente simbolico. Il loro amore peccaminoso, in quanto lei è già sposata con un senatore francese, è punito dalla giutizia divina allo stesso modo di quanto stia facendo la guerra per redimere l'umanità. Il regista ha voluto affidare alla morte del protagonista un analogo significato espiatorio. La sua anima si redime venendo in sogno all'amante ed esortando la donna a tornare da suo marito, che la stava aspettando e che aveva bisogno del suo affetto. L'episodio, con un abile parallelismo, riporta alla mente il racconto visionario sui quattro cavalieri dell'Apocalisse che un filosofo russo aveva narrato ai due quando erano a Parigi. Si tratta questa volta di una giustizia universale. Per tutti i quattro anni della guerra, morte e distruzione serpeggiano così tra gli uomini come punizione per i loro peccati.
Nel secondo dopoguerra, il richiamo del cinema alla grande guerra assume più spesso dei connotati più propriamente politici, pur continuando a rimanere nell'alveo dello spirito pacifista. Il tema è, però, spesso ripetitivo e confluisce puntualmante nel sottolineare la guerra nella sua inutile strage. Così, ad esempio, nel film "Oh che bella guerra!", di Richard Attenborough (1969), gli orrori della trincea non saranno altro che un monito alla tragica guerra del Vietnam. In entrambi i conflitti, gli uomini muoiono senza sapere il perchè.
In questi ultimi anni stiamo assistendo ad un timido revival del genere cinematografico relativo alla Prima Guerra Mondiale. Abbandonando gli impegnati contenuti prettamente ideologici, propagandistici e dichiaratamente pacifisti, oggi si predilige la semplice “benedizione” di strepitosi effetti sepciali, per riconcretizzare semplicemente l’alter ego digitale del conflitto in se’ stesso.
E’ questo il caso del recente, sordido rifacimento di Mata Hari (1985) con la conturbante Sylvia Kristel e di “Giovani Aquile” (Flyboys) che romanza la vera epopea e le leggendarie gesta dei piloti franco-americani della Squadriglia Lafayette, che si schierarono al fianco dell’Intesa ancor prima che gli Stati Uniti entrassero ufficialmente in guerra.
Si spinge un po’ oltre, nella scala dei valori sociali e del messaggio trasmesso sul grande schermo, “Una lunga Domenica di passioni” che narra la struggente storia d’amore di un “poilu” francese, chiaramente iconizzabile per le migliaia di analoghe e reali vicissitudini di molti che amarono e combatterono con egual intensita’ e passioni in quei duri anni. Non resta che attendersi un imminente, massiccio intervento di Hollywood, per riscoprire in tutta la sua cruda drammaticita’ una delle piu’ cruente guerre mai combattute dal genere umano e, parallelamente, un abbattimento totale di qualsiasi espressivita’ storica, poetica o narrativa, in favore di nuovi “gladiatori” armati di mitragliatrici Schwarzlose e terrificanti baionette. Notizie recenti davano quasi per certo l’avvenuto, anche se insolito, connubio tra i produttori cinematografici statunitensi e il capolavoro letterario di Sebastian Faulk, “Il Canto del Cielo” (Birdsong), ma per il momento sembra che Hollywood stia semplicemente serbando nel cassetto una potenziale, prossima carta vincente del cinema americano.
CINEMATOGRAFIA UFFICIALE
Charlot in trincea (1918)
Gran Bretagna, regia di Charlie Chaplin
J'accuse (1919)
Francia regia di Abel Gance
I quattro cavalieri dell'Apocalisse (1921)
Stati Uniti regia di Rex Ingram con Alice Terry e Rodolfo Valentino
La suora bianca (1923)
Stati Uniti regia di Henry King con Lillian Gish e Ronald Colman
La grande parata (1925)
Stati Uniti regia di King Vidor
Ali (1928)
Stati Uniti regia di William Wellman
Verdun,visioni di storia (1928)
Francia regia di Léon Poirier
Westfront (1930)
Germania regia di Georg Wilhelm Pabst
Gli angeli dell'inferno (1930)
Stati Uniti regia di Howard Hughs
All'Ovest niente di nuovo (1930)
Stati Uniti regia di Lewis Millestone
Journey's End (1930)
Stati Uniti regia di James Whale
Mata Hari (1931)
Stati Uniti regia di George Fitzmaurice con Greta Garbo
Bergen in flammen (Montagne in fiamme) (1931)
Germania regia di Hartl - L.Trenker
Il compagno B (1932)
Stati Uniti con Stan Laurel e Oliver Hardy
Addio alle armi (1932)
Stati Uniti regia di Frank Borzage
Ero una spia (1933)
Gran Bretagna regia di Victor Saville
La guerra lampo dei Fratelli Marx (1933)
Stati Uniti con i Fratelli Marx
L'angelo delle tenebre (1935)
Stati Uniti regia di Sidney Franklin
Le scarpe al sole (1935)
Italia regia di Marco Elter
Le vie della Gloria (1936)
Stati Uniti regia di Howard Hawks con Fredric March e Lionel Barrymore
La grande Illusione (1937)
Francia regia di Jean Renoir con Erich von Stroheim e Jean Gabin
J'accuse (1937)
Francia regia di Abel Gance (remake)
La storia d'Edith Cavell (1939)
Gran Bretagna regia di Herbert Wilcox
Il sergente York (1941)
Stati Uniti regia di Howard Hawks con Gary Cooper
La leggenda del Piave (1952)
Italia regia di Riccardo Freda
Orrizonti di gloria (1957)
Stati Uniti regia di Stanley Kubrick con Kirk Douglas
Addio alle armi (1957)
Stati Uniti regia di Chrles Vidor con Rock Hudson
La grande guerra (1959)
Italia regia di Mario Monicelli con Alberto Sordi, Vittorio Gassman e Silvana Mangano
Lawrence d'Arabia (1962)
Gran Bretagna regia di David Lean con Peter O'Toole e Anthony Queen
Per il re e per la patria (1965)
Gran Bretagna regia di Joseph Losey
La caduta delle aquile (1966)
Stati Uniti regia di John Guillermine
Oh che bella guerra! (1969)
Gran Bretagna regia di Richard Attenboroug con John Mills
E Johnny prese il fucile (1970)
Stati Uniti regia di Dalton Trumbo
I recuperanti (1970)
Italia regia di Ermanno Olmi
Uomini Contro (1971)
Italia regia di Francesco Rosi con Gian Maria Volontè
La Battaglia delle Aquile (1977)
Gran Bretagna regia di Jack Gold con Malcolm McDowell
All'Ovest niente di nuovo (1979)
(remake) Stati Uniti regia di Delbert Mann con Erneste Borgigne
Fraulein doctor (1979)
Italia regia di Alberto Lattuada
Gli anni spezzati (1981)
Australia regia di Peter Wair con Mel Gibson
Mata Hari (1985)
Stati Uniti - regia di Curtis Harrington con Sylvia Kristel
Light Horsemen, attacco nel deserto (1987)
Australia regia di Simon Wincer
La vita e niente altro (1989)
Francia regia di Bertrand Tavernier
Mino (sceneggiato per la TV) (1989)
Italia regia di Gianfranco Albano
Amare per sempre (1996)
Stati Uniti - Gran Bretagna regia di Richard Attenborough
Capitan Conan (1996)
Francia regia di Bertrand Tavernier
Regeneration (1997)
Inghilterra - Canada regia di Gillies MacKinnon
Il Battaglione perduto (2001)
Stati Uniti regia di Russel Mulcahy
Deathwatch - La trincea del male (2002)
Michael J.Basset, GB, Germania, Francia, Italia
Una lunga Domenica di Passioni (2003)
regia di Jean-Pierre Jeunet, Francia
Joeux Noel (2005)
(La tregua di Natale) regia di Christian Carion, Francia
Giovani Aquile (2006)
regia di Tony Bill ,Usa-Francia
L'amore e la guerra (sceneggiato per la TV) (2007)
regia di Giacomo Campiotti, Italia
IL CINEMA SULLA GRANDE GUERRA -RECENSIONI