I generali della Grande Guerra sembrano aver saltato a pie’ pari qualsiasi tipo di insegnamento derivato dall’esperienza dei loro predecessori, buttandosi a capofitto nell' infame “materialschlacht”, o “guerra di materiali”, e sperando di averla vinta a colpi di migliaia e migliaia di vite umane, continuamente buttate nel tragico ed insensato tritacarne bellico.
Luoghi come Passchendaele, Ypres, Verdun, Caporetto, l’Ortigara e la Somme, per citarne alcuni, hanno assistito a inenarrabili carneficine dettate esclusivamente dall’ego e dall’ottusita’ di molti scellerati al comando.
Di contro, e’ doveroso analizzare l’operato di ciascun stratega o generalissimo dell’epoca anche nel contesto politico e sociale in cui regnava la piu’ completa impreparazione ad affrontare un conflitto di tali dimensioni.
Le pressioni esercitate dai governanti e dalla stessa opinione pubblica hanno infatti contribuito a forzare e stravolgere completamente le decisioni strategiche anche di chi credeva stoltamente di poter “finire la guerra entro Natale”, persino dopo ben tre anni di scontri!
Molti storici e tutti gli studiosi in generale, videro nella Prima Guerra Mondiale la fine di un mondo: e non furono i soli. Non fu certo la fine dell’umanità, ma il grande edificio della civiltà ottocentesca crollò tra le fiamme della guerra e i suoi pilastri rovinarono completamente al suolo.
“Senza la guerra non ci si potrebbe spiegare il cosiddetto “secolo breve”, quei cent’anni segnati da pressoche’ continue vicende belliche, anche quando i cannoni tacevano e le bombe non esplodevano. "La sua storia, e più specificatamente la storia della sua età iniziale di crollo e di catastrofe, deve cominciare con i trentun anni di guerra mondiale”.
Il filosofo contemporaneo Eric Hobsbawm (1) introduce così il suo recente lavoro sul Novecento, nel quale considera il “secolo breve” come un lasso di tempo profondamente scandito e segnato dalla guerra, tanto da giustificare una visione, comune a molti storici, delle Guerre Mondiali come un unico conflitto, che si protrae anche nel dopoguerra.
Ad entrambe i conflitti mondiali dello scorso secolo, Hobsbawm e molti altri studiosi, attribuiscono la tipica connotazione di “Guerra Totale” o “Guerra di Materiali”. Si tratta di un elemento di estrema originalità rispetto alla tradizione militare del secolo precedente e all’intera storia delle vicende belliche del genere umano.
COME SI ARRIVO' ALLA GUERRA DI MATERIALI
Certamente sia il grande sforzo bellico sia la determinazione da ambo le parti di spingere la guerra fino in fondo e di vincerla a qualunque costo lasciarono il segno. Senza di ciò, non si comprende la crescente brutalità e disumanità del nostro secolo.
E’ certo che le grandi rivoluzioni tecnologiche, che permisero a quasi tutte le grandi potenze mondiali di produrre armamenti di potenza inaudita, furono alla base dell’estrema violenza con cui si protrasse per ben 5 anni il Primo Conflitto Mondiale.
La tecnologia rese virtualmente invisibili le sue vittime, mentre ciò non accadeva quando, decenni prima, si sventravano ancora i nemici con la baionetta o li si inquadrava nell mirino del moschetto.
Uccidere, ferire e menomare diventarono allora conseguenze remote del premere un pulsante, del muovere una leva o, ancor peggio, di ordinare il fuoco contemporaneo di migliaia di bocche da fuoco, standosene comodamente seduti davanti a una mappa, a centinaia di chilometri dal fronte.
Anche l’inedita “democratizzazione” della guerra, che coinvolse direttamente, per la prima volta, soprattutto le masse, e non piu’ solo i professionisti dell’arte militare, incremento’ il livello di barbarie e l’impatto psicologico e materiale del conflitto. Le guerre totali del secolo scorso furono cosi’ lontanissime dagli schemi della politica bismarkiana o di quella settecentesca.
Nessuna guerra in cui si fa appello a sentimenti nazionali di massa può avere certamente un carattere limitato come lo avevano le precedenti guerre aristocratiche.
L'ANNO DEL CAMBIAMENTO
Tutto mutò nel 1914. La prima guerra mondiale coinvolse tutte le maggiori potenze e tutti gli stati europei, a eccezione della Spagna, dell’Olanda, delle nazioni scandinave e della Confederazione Elvetica.
Ancor più significativo è il fatto che truppe provenienti dalle colonie d’oltremare vennero inviate, spesso per la prima volta, a combattere e a operare fuori della loro area geografica di appartenenza.
Totale fu l’impiego dei mezzi e delle risorse a disposizione. Gli scontri che interessarono il mondo intero dal 1914 al 1918 impiegarono e annichilirono una quantità fino ad allora inimmaginabile di materiali e di prodotti. DA qui l’espressione tedesca “Materialschlacht” (“guerra di materiali”).
Sempre Eric Hobsbawm ha anche saggiamente annotato: “La guerra di massa esigeva una produzione di massa. Ma la produzione esigeva anche organizzazione e direzione manageriale, proprio perché l’obiettivo era quello di distruggere sistematicamente la vita umana con la massima efficienza, come accadde nei campi di sterminio tedeschi. Parlando in termini generali, la guerra totale fu la più grande impresa economica, coscientemente organizzata e diretta, che l’uomo avesse mai conosciuto”.
Anche il filosofo Ernst Jünger (2), pluridecorato al valore militare proprio nelle trincee delle Fiandre, riconobbe subito il mutamento del fenomeno bellico nella guerra di materiali. Per lui “il genio della guerra si congiunse con il genio del progresso”: così la battaglia tradizionale si evolse in uno scontro in cui uomini, non solo combattenti, e macchine furono unite inscindibilmente.
Negli anni di inizio del secolo scorso si assiste dunque ad un cambiamento radicale del reciproco rapporto tra economia e politica. Se nell’eta’ moderna il potere temporale dettava direttamente le conquiste e gli sviluppi economici di ciascun paese, nel Novecento tale assioma si ribalta completamente, con gli interessi economici che arrivano a dettare qualsiasi scelta politica di ogni nazione.
Gli scopi stessi prefissati all’inizio del conflitto, risultano talmente vasti e illimitati da testimoniare la presenza di fortissimi interessi economici alle spalle. Anche se i vari trattati stipulati prima o durante la Grande Guerra, menzionavano acquisizioni territoriali piu’ o meno specifiche, l’estrema potenza d’offesa acquisita da ciascuna potenza mondiale, illuse regnanti, politici e condottieri che una vittoria particolarmente schiacciante avrebbe consentito di incrementare a dismisura il “bottino di guerra”.
Dice ancora Hobsbawn: “Nell’Età degli imperi, la politica internazionale si modellava sulla crescita e sulla competizione economiche, ma la caratteristica di questi processi era appunto la loro illimitatezza.
Le “frontiere naturali” della Standard Oil, della Deutesche Bank o della De Beers Diamond Corporation erano i limiti estremi del globo, o piuttosto i limiti della loro capacità di espansione. Più concretamente per i due principali contendenti, Germania e Gran Bretagna, l’unico limite doveva essere costituito dal cielo, poiché la Germania voleva una posizione di predominio politico e marittimo mondiale pari a quella britannica, che avrebbe perciò automaticamente relegato a un rango inferiore la potenza inglese già in declino.
Per la Francia, allora come nella seconda guerra mondiale, la posta in gioco non era così alta, ma era ugualmente pressante: controbilanciare la crescente inferiorità economica e demografica dinanzi alla Germania, che sembrava inevitabile. Anche in questo caso era in questione il futuro della Francia come grande potenza. In entrambi i casi un compromesso avrebbe semplicemente significato rimandare il confronto.
Forse sulla carta sarebbe stato possibile raggiungere un compromesso su alcuni degli obiettivi bellici che entrambe le parti, con ottica megalomane, formularono non appena scoppiò il conflitto. In realta’ comunque il solo obiettivo prefissato e inesorabilmente inseguito fu la vittoria totale – un concetto ribattezzato come “resa incondizionata” durante la Seconda Guerra Mondiale.
In quest’ottica, dunque, la Prima Guerra Mondiale, e in seguito la Seconda, appaiono certamente inevitabili e, come vedremo, strettamente collegate.
"RIBALTARE" VON CLAUSEWITZ
Parlare di guerra, implica necessariamente una citazione al generale prussiano von Clausewitz. In questa circostanza, la sua famosa massima “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”, ci puo’ servire per evidenziare i cambiamenti intervenuti dal tempo delle guerre napoleoniche all’inizio della Grande Guerra.
Parlando dei nuovi scenari geopolitici, sociali e tecnologici del Novecento, si puo’ certamente “ribaltare” e asservire alla nostra analisi storica, la massima del generale prussiano, ispirandoci anche alle recenti teorie del contemporaneo Michael Focault (3).
Nella massima di von Clausewitz, il potere politico continua a dettare qualsiasi regola e a definire qualsiasi strumento per sviluppare il processo dello scambio, nell’economia della circolazione dei beni.Nella guerra totale o di materiali, Focault vede pero’ un potere politico che avrebbe nell’economia la sua ragion d’essere, il principio della sua forma concreta e del suo funzionamento attuale. Appare, anche nelle tesi di Focault, l’egemonia sul potere temporale acquisita dall’economia.
La politica, quindi, sarebbe chiamata non a riassorbire le fratture della guerra ma a perpetuare una condizione di squilibrio e asimmetria ricodificando continuamente gli esiti delle armi nel linguaggio delle consuetudini, delle leggi e delle istituzioni – il tutto dettato dalle finalita’ e dalle mete espansionisitiche dell’economia di ciascun paese.
Ecco come la guerra totale nasce e diventa un potentissimo, letale ed estremo strumento di lotta, inteso per conseguire aspirazioni di sviluppo economico sempre piu’ vaste ed illimitate.
LA MANCATA VITTORIA COMPROMISE VERSAILLES A PRIORI
La mancata vittoria totale, ai danni delle Potenze Centrali, compromise, sin dall’inizio, la stesura del Trattato di Versailles. Visto che il solo vero obiettivo che contasse era la resa incondizionata del nemico, la fine della guerra sancita da una semplice serie di armistizi, porto’ ad un trattato di pace tanto precario, quanto instabile per entrambe le fazioni in causa.
Gli Stati Uniti d’America si svincolarono presto dagli impegni contratti: nessun trattato che non fosse stato sottoscritto da quella che era diventata una potenza mondiale di prima grandezza poteva infatti rivelarsi efficace.
Due grandi potenze europee e mondiali (la Germania e la Russia) erano di certo temporaneamente fuori dal gioco internazionale e a esse si riconobbe solo il semplice ruolo di spettatrici alla stesura del trattato . Non appena una o entrambe queste nazioni fossero rientrate sulla scena, un trattato di pace appoggiato solo dalla Gran Bretagna e dalla Francia (anche l’Italia si dichiaro’ insoddisfatta, soprattutto in relazione alle promesse ricevute il 26 aprile del 1915) non poteva certamente durare a lungo.
Fu dunque un’imperdonabile leggerezza non pensare che, prima o poi, la Germania, o la Russia, o entrambe sarebbero comunque rientrate in gioco con ruoli di non certo secondaria importanza. Infine, le magre possibilità di mantenimento della pace furono annullate dal rifiuto delle potenze vittoriose di offrire ai vinti un posto nel concerto delle nazioni.
GLI EFFETTI DELLA GUERRA DI MATERIALI
SULL'OPINIONE PUBBLICA
La maggior parte degli uomini che combatterono nella prima guerra mondiale, maturò un convinto odio per la guerra. Di contro, i soldati che avevano superato la guerra senza ribellarsi contro di essa trassero dall’esperienza di aver sfidato e vinto una miriade di morti atroci, un fortissimo sentimento di selvaggia superiorità.
Adolf Hitler fu uno di questi uomini, dominati dall’odio e dallo sprezzo per tutto cio’ e tutti coloro che non avevano fatto parte della tremenda esperienza formativa del conflitto, vissuto in prima linea.
Lo stesso Paolo Monelli (4) e moltissimi altri protagonisti del conflitto, aveva intuito la pericolosita’ e gli effetti nefasti del ruolo di “assassini professionisti”, imposto cosi’ a lungo alle migliaia di combattenti. Certamente anche la reazione diametralmente opposta a questo comportamento autoritario e nichilista, dava luogo a conseguenze ugualmente negative. Infatti dopo la guerra i politici di tutto il mondo si resero conto che bagni di sangue come quelli del 1914-1918 non sarebbero stati più tollerati dai loro elettori elettori.
La strategia postbellica della Francia e dell’Inghilterra, si basò proprio su questo presupposto. Cio’ aiutò i tedeschi a vincere nel 1940 l’offensiva a ovest contro la Francia e contro l’Inghilterra, che volevano evitare a tutti i costi di impegnarsi in quel tipo di guerra di materiali che aveva decimato i suoi cittadini nel 1914-1918.
Non a caso la Francia per prima si piego’ ad una sbilanciatissima pseudo-alleanza con i nazisti, formando la Repubblica di Vichy, sostanzialmente asservita alle decisioni di Hitler.
Infine, riporto ancora una volta le parole dello stesso Hobsbawm, che conclude così il suo capitolo dedicato a “L’epoca della guerra totale”: “Guardando indietro ai trentun anni che vanno dall’assassinio dell’arciduca d’Austria a Sarajevo fino alla resa incondizionata del Giappone, si deve considerarli come un’epoca di strage rovinosa, paragonabile alla guerra dei trent’anni nella storia tedesca del Seicento.
E Sarajevo -la prima Sarajevo- segnò indubbiamente l’inizio di un’epoca di catastrofe e di crisi nella situazione internazionale […]. Non di meno, nella memoria delle generazioni vissute dopo il 1945, la “Guerra dei Trentuno anni” non ha lasciato dietro di sé lo stesso tipo di ricordo funesto prodotto dal precedente seicentesco, che fu assai più localizzato.
Questo si deve in parte al fatto che quegli anni costituiscono un’epoca di guerra solo nella prospettiva dello storico. Coloro che vissero in quel tempo lo percepirono come una sequenza di due guerre distinte ma connesse, intervallate da un periodo privo di aperte ostilità […].
Comunque questa percezione di due guerre distinte non è solo dovuta all’intervallo trascorso tra di esse, quanto anche al fatto che ciascuna ebbe un carattere e un profilo storico suoi propri.
Entrambe furono carneficine senza eguali e si lasciarono dietro le immagini degli incubi tecnologici che ossessionarono i giorni e le notti delle generazioni successive […]. Entrambe si conclusero con il crollo della civiltà e con la rivoluzione sociale in larghe regioni dell’Europa e dell’Asia.
Entrambe lasciarono le nazioni belligeranti prostrate e indebolite, a eccezione degli USA, che uscirono dalle due guerre senza aver subito danni, con una maggiore ricchezza e con il ruolo di signori economici del mondo.
E tuttavia quali impressionanti differenze tra i due conflitti! La Prima Guerra Mondiale non risolse nulla. Le speranze che essa generò […] furono subito deluse".
Il passato era irrevocabile, il futuro era rimandato, il presente era amaro, se si eccettuano alcuni momenti sfuggevoli a metà degli anni ’20. La Seconda Guerra Mondiale produsse effettivamente delle soluzioni, almeno per alcuni decenni.
I drammatici problemi sociali ed economici che avevano afflitto il capitalismo, nell'Età della catastrofe parvero scomparire. L’economia del mondo occidentale entrò nell’Età dell’oro; le democrazie politiche occidentali, sostenute da uno straordinario miglioramento delle condizioni materiali di vita, rimasero stabili; la guerra venne confinata alle aree del Terzo Mondo.”
ag
Note:
1) “Il secolo breve 1914-1991. L'epoca più violenta della storia dell'umanità”
Eric Hobsbawm
2) “La moblitazione totale” - Ernst Jünger
3) “Foucault on Clausewitz: conceptualizing the relationship between war and power” - Michel Foucault
4) “Le scarpe al sole" - Paolo Monelli, 1920