Quando il Generale Luigi Cadorna fu messo alla guida dell’esercito italiano nel luglio 1914, in seguito alla scomparsa del Generale Alberto Pollio, lo stesso, intero strumento offensivo bellico del nostro Paese non era certo in grado di affrontare alcun tipo di conflitto, specie se lungo e oneroso in termini di risorse tecniche, logistiche e umane.
A Cadorna va quindi subito riconosciuto il merito di essersi proverbialmente rimboccato le maniche e di aver creato e plasmato dal nulla la macchina da guerra dello “stellone d’Italia”, con la quale ci saremmo presentati al tragico appuntamento del 24 maggio 1915.
Ma Cadorna, come sappiamo, non si limito’ certo a modernizzare il macrocosmo militare italiano. Se e’ vero che al Regno Unito e alla Francia ci volle tutto il 1914 ed il 1915 per iniziare semplicemente a capire che di tutto un altro genere di conflitto si trattava, rispetto al precedente standard dettato dalle campagne napoleoniche, Cadorna imbraccio’ le armi con un netto vantaggio. Purtroppo questo vantaggio non fu assolutamente tradotto in una reale marcia in piu’ dal nuovo Capo di Stato Maggiore italiano: egli si dimostro’ totalmente cieco davanti ai due anni di sconvolgimenti strategici ai quali la fine della guerra di movimento costrinse tutti i belligeranti.
Seguendo l’eredita’ strategica di Napoleone Bonaparte, Cadorna si getto’ nella mischia, oltrepassando il confine dell’Impero Austro-Ungarico sull’Isonzo, indicato appunto, quasi un secolo prima, come unico teatro di guerra in grado di offrire una concreta e veloce risoluzione del conflitto a favore dell’Italia. Ma Napoleone aveva posto come condizione a questa “facile” vittoria, la certezza di non temere alcun tipo di attacco dalla fronte Trentina, pertanto di assicurarsi che questa linea di confine fosse protetta ed oltremodo invalicabile dal nemico.
I fatti gli diedero pienamente ragione, proprio perche’ Cadorna, dimentico di questa importante condizione “sine qua non” e impegnato a dar “spallate” sull’Isonzo, si vide piombare in casa gli Austriaci, durante la “Spedizione Punitiva” del maggio-giugno 1916. Questa inattesa, ma preannunciata offensiva (Il Servizio Informazioni di Cadorna aveva ripetutamente cercato di metterlo in guardia), ci costrinse ad arroccare sulla difensiva tutta la Prima Armata del Generale Brusati, costringendo il nostro Stato Maggiore ad una grave battuta d’arresto.
A onore del vero Cadorna, sin dal marzo precedente, aveva cercato di accorciare il fronte trentino, telegrafando a Brusati di ripiegare e difendersi posizioni principali di resistenza, tuttavia non meglio precisate.
Fu proprio questo un importante prodromo del grande errore strategico e soprattutto di mancata supervisione dei sottoposti, che Cadorna commise, in tutta la sua gravita’, nell’ottobre dell’anno successivo. Lasciato infatti senza controllo diretto e, principalmente, senza direttive ben precise, Brusati contravvenne agli ordini e stabilizzò la propria linea del fronte, promuovendo a linea di principale difesa i capisaldi di Coni Zugna, Col Santo, Monte Maggio, Spitz Tonezza e il forte di Vezzena. Proprio come poi si comporto’, un anno dopo, il Generale Capello, egli era infatti convinto che il miglior modo di spezzare un'offensiva era attaccare a propria volta, e non volle prendere in considerazione l'idea di arretrare neanche quando il 26 aprile 1916, grazie alle rivelazioni di alcuni disertori, apparvero chiarissimi il piano nemico e tutti i relativi obiettivi.
Cadorna perse dunque mesi di offensiva sull’Isonzo, impegnato com’era ad arginare l’avanzata austriaca in Trentino e a costringere questa fronte su linee difensive posticce e ancor piu’ deboli e pericolose di quelle di anno prima.
Benché il disastro di una vera invasione austriaca fosse stato quasi miracolosamente evitato, la “Strafexpedition” provocò anche crisi politica. A livello popolare, aveva desto’ certamente grande scalpore la morte o la cattura di alcuni tra i più conosciuti irredentisti, quali Fabio Filzi, Damiano Chiesa, Cesare Battisti, Nazario Sauro ed Enrico Toti.
A livello istituzionale, il Presidente del Consiglio dei Ministri, Antonio Salandra, fu sul punto di sollevare Cadorna dal comando, ma il 10 giugno 1916 perse l'incarico a seguito di un voto di sfiducia.
Prese il suo posto Paolo Boselli, decano della Camera, ma caratterialmente debole e pertanto incapace di contrastare la vulcanica personalita’ del Capo di Stato Maggiore.
In seguito alle trasformazioni e alle frammentazioni parlamentari operate, cio’ che riusci’ a fare il nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri potrebbe esser riassunto con le stesse parole di Napoleone III, quando sciolse un gabinetto nazionale per formarne un altro: “Avevo creduto di giungere ad una fusione di gradazioni, sono giunto ad una neutralizzazione di forze”. Cadorna si ritrovo’, ancora una volta, solo e incontrastato al comando della Nazione intera. Ma come disse Bissolati, Cadorna era “l’uomo di un sogno”, colui che aveva condotto il governo ed il Paese in una rischiosissima guerra, dipingendola con le tinte accattivanti di una facile ed immediata vittoria, che solo la sua fervida immaginazione aveva potuto concepire.
Oggi appare chiaro che La “Spedizione Punitiva” del 1916 fece crollare tutti quei sogni di gloria del condottiero italiano e, cosa ancor piu’ grave, mise in evidenza molte gravi deficienze del Comando Italiano, tra cui:
1) L’incapacita’ di Cadorna di responsabilizzare, ma allo stesso tempo di supervisionare i propri subalterni, soprattutto durante le azioni di guerra. Cadorna infatti appare come un buon stratega solo a tavolino, ma “scompare” quando inizia il combattimento vero e proprio, e si dimostra totalmente incapace di correggere il tiro e supportare in tempo reale il lavoro e le necessita’ dei suoi generali. Poi, a battaglia terminata, se non si e’ ottenuto il successo prefissato sulla carta topografica, il vertice del nostro esercito si limita a “silurare” e rimpiazzare Generali con estrema leggerezza. Cadorna mai si interroga sul perche’ di un insuccesso, impegnato com’e a trovar subito un buon capro espiatorio da allontanare subito dal suo Comando.
2) Cadorna non si vuol rendere conto dell’importanza delle riserve, di quelle soprattutto del Comando Supremo. Se, peraltro eccezionalmente, si ritrova un paio di divisioni sotto mano, le “conserva” gelosamente a decine e decine di chilometri dalla fronte, rendendole virtualmente inutilizzabili. In occasione della “Strafexpedition” del 1916 di riserve non ce n’erano (e furono richiamati soldati in gran fretta dalla fronte isontina), mentre durante la Battaglia di Caporetto, le poche disponibili stazionavano a Codroipo e ancor piu’ lontano dalle prime linee.
3) Cadorna non vede che il Fronte isontino e si ostina, fino all’agosto del 1917, a dare potenti, ma onerosi urti al nemico, nel tentativo di superare l’Hermada e aprirsi una via verso Trieste, che egli stesso dichiara pero’ di considerare una mera vittoria tattica e decisamente “scomoda” per il proseguimento del conflitto.
4) Proprio come dice Angelo Gatti nei suoi diari, al seguito del “Capo”, non si riesce a distruggere il terrore dell’arretramento tattico e ci si incaponisce sempre a rimanere su posizioni infelic. Cadorna e’ certamente costretto dal Governo a “vincere sempre”, a principale beneficio dell’opinione pubblica e della propaganda, ma si aliena comunque da qualsiasi considerazione di “difesa elastica” egregiamente adottata dai Tedeschi, come dagli Austriaci. In buona sostanza, e’ sempre preferibile sprecare ingenti quantitativi di vite umane, piuttosto che concedere, anche se temporaneamente, pochi metri di terreno. Questa e’ la filosofia del Generale.
5) Parafrasando le parole di Angelo Gatti, Cadorna e’ da sempre impegnato a dimostrare al mondo intero e a se’ stesso, che lui solo e’ al comando e che chiunque gli stia intorno e’ una nullita’, facilmente rimpiazzabile a comando. Questo dogma di ferro non verra’, ad esempio, recepito dallo stesso ottimo Generale Bencivenga, che si vedra’ addirittura ridotto agli arresti, in seguito a modestissimi screzi avuti col il “Capo”.
6) Proprio a causa dell’insaziabile desiderio di onnipotenza di Cadorna, si assiste per tre anni di guerra anche alla distruzione del sistema di promozione meritocratico, ai danni dei quadri dell’esercito, a favore di uno strano connubio tra raccomandazione, intercessioni politiche e, peggio ancora, timore di accettare incarichi e responsabilita’ troppo grandi e ad alto rischio di “siluramento” (leggi: ignominiosa e prematura fine della carriera).
A riprova di quanto esposto fin’ora, gli stessi Alleati (nella persona del Generalissimo Foch e del Generale Roberston) identificarono queste stesse lacune e le impiegarono come principale motivazione per la richiesta di allontanamento dal comando di Cadorna (imponendo addirittura la completa sostituzione dei quadri) alla Conferenza di Peschiera, subito dopo lo sfondamento di Caporetto.
Il Colonnello Gatti, nel suo “Caporetto – Diario di Guerra maggio-dicembre 1917” definisce questo atteggiamento degli alleati simile a quello degli avvoltoi che osservano la preda agonizzante: non gli si puo’ certo dar torto.
A questo punto di proverbiale “carne al fuoco” ce n’e’ davvero parecchia. Soprattutto se si considera che lo svolgimento degli eventi successivi al 1916 conferma e riafferma tutte le idiosincrasie del Comando Supremo italiano, andando perfino oltre la battaglia di Caporetto. L’eredita’ di Cadorna infatti getto’ le stesse basi della riscossa e non fu certo cancellabile cosi’ facilmente come all’epoca si credette. Un esempio? Dopo aver discusso per giorni sulla ulteriore ritirata sul Mincio, a seguito dei tragici accadimenti dell’ottobre 1917, Diaz, Giardino e Badoglio ritornarono sui passi di Cadorna, primo ed unico tra tutti a identificare il Piave come linea di massima resistenza e successivo contrattacco.
Ad ogni modo, considerare Cadorna “l’uomo di un sogno” nei termini di pura adorazione usati da personaggi come Gatti, Bencivenga e Pollio, risulta abbastanza tragico, proprio se si considera quanto spazio fu dato dal nostro governo e dal re stesso ad un generale cosi’ introverso ed ermeticamente chiuso in una sua poco realistica visione della guerra.
A Cadorna va certamente riconosciuto il merito di aver creato molto dal nulla, ma fu proprio quel pachidermico strumento bellico a cui diede vita che lo schiaccio’ inesorabilmente, per non averlo saputo domare. Un tale "uomo solo al comando" si rispecchia anche in molte analoghe figure di alto comando, durante tutta la Grande Guerra. E’ in cocnlcusione facile ed immediato il paragone con personaggi come Haig, Joffre, Nivelle, Sir John French e molti altri che, lasciati analogamente soli, nel bene e nel male, furono travolti da umane pulsioni di onnipotenza.
E’ tuttavia interessante sottolineare dunque l’importanza della decisione che le forze dell’Intesa presero a Rapallo, il 6 novembre del 1917.
Il Primo Ministro inglese, David Lloyd George, si rese finalmente conto del grandissimo rischio di annientamento corso da Inghilterra, Francia e Italia nel dare completamente “carte blanche” ai troppi, potentissimi “venditori di sogni”. Pertanto, con il concorso della Francia, venne creato il Consiglio di Guerra Interalleato che, per la prima volta, soggiogo’ quasi totalmente allo scrutinio dei politici l’operato dei militari.
Con il pernicioso senno del poi, di cui si deve sempre fare limitato uso, si potrebbe tranquillamente dire che se tale decisione fosse avvenuta almeno un anno prima, molte inutili stragi sarebbero state certamente evitate.
ag